Pubblicato su Sole24Ore – Nt Lavoro – il 13/01/2025
Qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa a fronte di diversi episodi contestati, ciascuno di essi autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione, salvo il lavoratore dimostri che solo se considerati congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi non consentano la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Court of Cassation Corte di cassazione, con l’ordinanza 172 del 7 gennaio 2025.
Il caso trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente a seguito di plurime condotte, tra cui assenze ingiustificate, utilizzo di certificato medico falso, abbandono ingiustificato del luogo di lavoro e offese rivolte ad un collega.
La Corte d’Appello di Venezia, in riforma della sentenza del Tribunale, accertava la legittimità del provvedimento rilevando la lesione del legame fiduciario, ritenendo i fatti contestati «condotte gravi sia singolarmente sia unitariamente considerate», idonee a far venir meno la fiducia del datore di lavoro nella correttezza dei futuri adempimenti da parte del lavoratore.
Il dipendente ricorreva in cassazione, denunciando, per quanto di interesse, la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta al fine di dimostrare l’autenticità dei certificati medici prodotti.
La Suprema Corte rigetta il ricorso richiamando, in primis, il consolidato orientamento di legittimità per cui la mancata ammissione della prova testimoniale (o di altra prova) può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare l’efficacia delle altre risultanze istruttorie, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento.
Secondo la Corte, il provvedimento reso sulle istanze istruttorie è censurabile o per inosservanza di norme processuali o per vizio di motivazione.
Nel primo caso, la sua violazione è certamente censurabile in cassazione, essendo il diritto alla prova lo strumento di un effettivo esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio attraverso un giusto processo.
Nel secondo caso, nonostante la decisione del giudice si traduca sempre nel rifiuto di ammettere il mezzo di prova richiesto, viene in rilievo il potere del giudice di operare nel processo delle scelte discrezionali, che seppur riferite ad un’attività processuale, sono intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciate con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa, il che spiega perché restino di competenza del giudice e possano essere contestate in cassazione solo per vizio di motivazione.
Nel caso di specie, secondo la cassazione, il fatto che secondo parte ricorrente sarebbe stato trascurato in realtà risulta privo del carattere della decisività, avendo la Corte del gravame affermato che ciascuna delle condotte addebitate al ricorrente era tale da determinare il venir meno del rapporto fiduciario con il datore, sia singolarmente sia unitariamente considerate.
A tal proposito, la Corte ricorda che qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione. Non è il datore, infatti, a dover provare di aver licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensì il lavoratore a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro (Cassazione 18836 del 2017; Cassazione 26764 del 2019).