Pubblicato su Sole24Ore – NT Lavoro – il 10/11/2022.
Quando si configura in concreto un unico soggetto datoriale tra più società, la procedura di licenziamento collettivo deve coinvolgere tutti i lavoratori dell’unico complesso aziendale scaturito da tale integrazione, pur in assenza di prova dell’utilizzo promiscuo delle attività dei dipendenti effettivamente licenziati.
Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 32834 dell’8 novembre 2022.
Il caso trae origine dal licenziamento di una dipendente di una compagnia aerea all’esito di procedura in base agli articoli 4 e 24, della legge 223/1991, che ne contestava la legittimità sostenendo che la procedura avrebbe dovuto coinvolgere anche il personale della società controllante, da considerare contitolare del rapporto di lavoro.
Il Tribunale, accertata la sussistenza di un unico complesso aziendale tra le società citate, dichiarava l’illegittimità del licenziamento in virtù dell’obbligo datoriale di selezionare i lavoratori da licenziare nell’ambito dell’intero complesso aziendale, con sentenza confermata in Corte d’appello.
Le società ricorrevano in cassazione, contestando il principio per cui bastasse l’integrazione tra le attività della controllante e della controllata per rilevare il centro unico di imputazione di interesse e la contitolarità dei rapporti di lavoro, né a tale conclusione poteva giungersi in virtù dell’utilizzo di contratti di «wet lease».
Sotto diverso profilo, i ricorrenti sostenevano la legittimità del licenziamento stante la mancata prova dell’utilizzo promiscuo delle prestazioni lavorative della dipendente licenziata, la quale, effettivamente, non aveva mai svolto attività lavorative presso la controllante.
La Corte di cassazione, investita della questione, ricorda che il collegamento economico-funzionale tra imprese del medesimo gruppo non è di per sé sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti a un rapporto di lavoro intercorso con una di esse si debbano estendere anche alle altre, essendo configurabile l’esistenza di un unico centro d’imputazione di interessi in presenza di i) unicità della struttura organizzativa e produttiva, ii) integrazione tra le varie attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune, iii) coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune e iv) l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società, svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore di vari imprenditori (Cassazione 1507/2021, Cassazione 19023/2017).
Nel caso di specie, tali criteri erano stati correttamente rilevati dalla Corte di merito stante, tra le altre, l’assegnazione dell’operatività di volo dalla controllata alla controllante, l’utilizzo di contratti di «wet lease» tra le due società, l’utilizzo da parte della controllante di personale proveniente dalla controllata attraverso distacchi e mediante «job posting» (assunzione ex novo previa risoluzione del contratto con la controllata), l’utilizzo di equipaggi misti.
Infine, si evidenzia come per gli Ermellini risulti priva di pregio la tesi principale dei ricorrenti per cui la lavoratrice avrebbe dovuto dimostrare in giudizio l’uso promiscuo della propria attività lavorativa da parte di entrambe le società.
A questo proposito, infatti, la Suprema corte ricorda che la compenetrazione tra strutture aziendali formalmente facenti capo a soggetti distinti implica la riferibilità della prestazione di lavoro a un soggetto unitario e «rende non decisiva la vicenda personale del singolo lavoratore», escludendo la configurabilità di un simile onere probatorio in capo al lavoratore.