Pubblicato su Sole24Ore – Nt Lavoro – il 31/01/2024
Lo svolgimento di attività in periodo di assenza dal lavoro per malattia costituisce illecito di pericolo e non di danno, il quale sussiste non soltanto se quell’attività abbia effettivamente provocato un’impossibilità temporanea di ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia stata posta in pericolo, ossia quando il lavoratore si sia comportato in modo imprudente. Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 1472/2024 del 15 gennaio.
La Corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale, ha rigettato il ricorso della lavoratrice avverso il licenziamento subito per aver svolto attività lavorativa in congedo di malattia. In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta tenuta dalla lavoratrice, che era stata vista servire i clienti in una pizzeria mentre era assente dal lavoro per lombalgia, fosse tale da ledere in modo grave il vincolo fiduciario con il proprio datore di lavoro, essendo dimostrativa di scarse correttezza e buona fede nella esecuzione del rapporto di lavoro, poiché l’attività espletata violava i suoi doveri di cura e di sollecita guarigione.
La lavoratrice, ricorrendo in cassazione, ha lamentato la contraddittorietà della pronuncia che riteneva le sue condotte contrarie ai doveri di cura e sollecita guarigione, nonostante fosse dimostrato il suo rientro in servizio subito dopo aver effettuato i turni in pizzeria.
La Suprema corte ha rigettato il ricorso rilevando che l’assunto della Corte d’appello è conforme alla giurisprudenza di legittimità. Il lavoratore deve astenersi da comportamenti che possano ledere l’interesse datoriale alla corretta esecuzione dell’obbligazione principale dedotta in contratto, rilevando che la mancata prestazione lavorativa a causa della malattia trova tutela nelle disposizioni contrattuali e codicistiche nella misura in cui non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore che operi scelte idonee a pregiudicare l’interesse datoriale a ricevere regolarmente detta prestazione (Cassazione 1699/2011).
In tale prospettiva, per la Corte assume rilevanza la violazione del dovere di osservare tutte le cautele prescritte dal medico «sia che si intenda tale dovere quale riflesso preparatorio e strumentale dello specifico obbligo di diligenza, sia che lo si collochi nell’ambito dei più generali doveri di protezione scaturenti dalle clausole di correttezza e buona fede in executivis, evitando comportamenti che mettano in pericolo l’adempimento dell’obbligazione principale del lavoratore per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia».
Sotto diverso profilo, la Cassazione rammenta che la valutazione del giudice di merito, in ordine all’incidenza sulla guarigione dell’altra attività accertata, è costituita da un giudizio ex ante e ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio, con la conseguenza che, ai fini di questa potenzialità, è irrilevante la tempestiva ripresa del lavoro.
Infine, la valutazione di tipo prognostico circa l’idoneità della condotta contestata, indice di scarsa attenzione del lavoratore per la propria salute e per i relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, a pregiudicare, anche solo potenzialmente, il rientro in servizio non potrà che essere effettuata ex post in giudizio, eventualmente con l’ausilio di una consulenza medicolegale.