Pubblicato su Sole24Ore – NT Lavoro il 14/09/2022.
La modalità di comunicazione del licenziamento non può essere oggetto di prova testimoniale, trattandosi di un atto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam.
Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 26532/2022.
Il caso trae origine dal licenziamento di una dirigente, avvenuto nel corso di una riunione alla quale partecipavano l’amministratore delegato e altri due dipendenti, in veste di testimoni. La dirigente non contestava l’avvenuto licenziamento nel corso della riunione, né la presenza dei due colleghi, ma negava di aver ricevuto tale comunicazione in forma scritta, mentre l’azienda sosteneva di aver consegnato a mani proprie la lettera di licenziamento nel corso della riunione, come confermato dai testimoni.
La Corte d’appello, confermando la pronuncia del Tribunale, dichiarava l’inefficacia del licenziamento in quanto intimato in forma orale, per non avere la società provato di aver adempiuto con la forma scritta – richiesta ad substantiam – e non essendo ammissibile la prova testimoniale sul punto (pur assunta in primo grado).
Per i giudici di merito, infatti, da un lato la modalità di comunicazione del licenziamento non può essere oggetto di prova orale perché la testimonianza conterrebbe al suo interno la prova orale dell’esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta a pena di nullità e, dall’altro, il divieto di prova orale, stabilito dall’articolo 2725 del Codice civile, non è superabile con l’esercizio dei poteri istruttori del giudice del lavoro.
La società ricorreva in cassazione rilevando di aver provato, per testi, la consegna a mani della comunicazione scritta del licenziamento e contestando il mancato esercizio da parte dei giudici di merito dei poteri istruttori d’ufficio diretti alla ricerca della verità sostanziale, senza formalità preclusive.
Per la Suprema Corte, il ricorso è inammissibile. In primo luogo, ricorda che, a mente dell’articolo 2725 del Codice civile, non è consentita la prova testimoniale di un contratto – o di un atto unilaterale secondo l’articolo 1324 del Codice civile – di cui la legge preveda la forma scritta a pena di nullità, salve le eccezioni previste dall’articolo 2724 del Codice civile, non applicabili al caso specifico.
Sotto diverso profilo, il divieto di prova per testimoni non è superabile sulla base dell’articolo 421, comma 2, del Codice di procedura civile che, nell’attribuire al giudice del lavoro il potere di ammettere d’ufficio ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal Codice civile alla prova testimoniale, non fa riferimento ai requisiti di forma (ad substantiam o ad probationem) previsti dalla legge.
Infine, per la Cassazione l’onere probatorio in capo alla società non può ritenersi soddisfatto con la produzione in giudizio di un documento consistente in una lettera di licenziamento, in quanto privo di data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all’estromissione del lavoratore, né può considerarsi la data riferita dai testi perché in tal modo si aggirerebbe surrettiziamente il divieto di prova testimoniale.
Di conseguenza, non potendosi provare in via testimoniale la controversa comunicazione per iscritto del licenziamento, il provvedimento è nullo per difetto della forma prevista ex lege.