Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15952 dell’8 giugno 2021
Il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto alla indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive.
Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15952 dell’8 giugno 2021.
Con tale ordinanza la Corte di Cassazione dapprima rileva come il divieto di monetizzazione delle ferie previsto dalla direttiva 93/104/CE, poi confluita nella direttiva 2003/88/CE, e ripreso dal D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, comma 2 che alla direttiva ha dato attuazione, «è evidentemente finalizzato a garantire il godimento effettivo delle ferie, che sarebbe vanificato qualora se ne consentisse la sostituzione con un’indennità, la cui erogazione non può essere ritenuta equivalente rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e della salute, in quanto non permette al lavoratore di reintegrare le energie psico-fisiche».
Da ciò discende, prosegue la Suprema Corte, che «l’eccezione al principio, prevista nella seconda parte delle disposizioni sopra richiamate, opera nei soli limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione del rapporto, e non consente la monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti, perché rispetto a queste il datore di lavoro doveva assicurare l’effettiva fruizione; una diversa interpretazione finirebbe per rendere di fatto inoperante la regola generale, risolvendosi nella previsione di una indiscriminata convertibilità pecuniaria del diritto, anche se differita al momento della cessazione del rapporto».
Ciò, peraltro, non significa, si legge nell’ordinanza, «che il lavoratore, al quale il godimento delle ferie non sia stato in effetti garantito, resti privo di tutela, perché sia in corso di rapporto che al momento della sua risoluzione, potrà invocare la tutela civilistica e far valere l’inadempimento del datore di lavoro che abbia violato le norme inderogabili sopra richiamate e non gli abbia consentito di recuperare le energie psico-fisiche».
Tuttavia, conclude la Corte di Cassazione «l’inadempimento deve essere addebitabile al soggetto nei cui confronti l’azione di danno viene esperita e pertanto è necessario che il mancato godimento delle ferie sia derivato da causa imputabile allo stesso datore di lavoro».
E così “questa condizione non si verifica nel caso in cui il lavoratore, per la posizione apicale ricoperta nell’azienda, pur avendo il potere di attribuirsi le ferie in piena autonomia, senza condizionamento alcuno da parte del titolare dell’impresa, non lo eserciti; in detta ipotesi, infatti, salva la ricorrenza di imprevedibili ed indifferibili esigenze aziendali, la mancata fruizione finisce per essere la conseguenza di un’autonoma scelta del dirigente, che esclude la configurabilità di un inadempimento colpevole del datore».
Infine, quanto all’onere probatorio l’ordinanza in esame richiama il proprio orientamento secondo cui «ex art. 2697 cpv. c.c. il potere – in capo al dirigente – di scegliere da se stesso tempi e modi di godimento delle ferie costituisce eccezione da sollevarsi e provarsi a cura del datore di lavoro, mentre l’esistenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive, ostative alla fruizione di tali ferie, integra contro eccezione da proporsi e dimostrarsi a cura del dirigente (Cass. 14.3.2016 n. 4920)».