Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 6 settembre 2022 n. 26198
La fruizione di un giorno di permesso sindacale per dedicarsi ad attività personali non riconducibili alla funzione per cui il permesso era stato riconosciuto, costituisce un inadempimento disciplinare sanzionabile con il licenziamento.
Sul punto, non rileva che, per l’assenza ingiustificata di un giorno o l’abbandono della postazione di lavoro, il contratto collettivo preveda una mera sanzione conservativa.
Per la Corte di Cassazione ed i giudici di merito, infatti, l’indebito utilizzo del permesso sindacale ha rilievo sul piano disciplinare anche e soprattutto perché integra gli estremi dell’abuso del diritto e non può essere esaminato nella più ridotta prospettiva delle sole giornate di assenza ingiustificata.
Il permesso, come ricorda la Corte di Cassazione, era stato utilizzato per finalità estranee alla previsione dell’articolo 30 St. Lav. che riconosce ai componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all’articolo 19, il diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti. E così, prosegue la Suprema Corte, la qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l’accertamento della concreta vicenda. Venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali.
Quanto precede, conclude la Corte di Cassazione, esclude la riconducibilità della condotta alle norme collettive che puniscono con sanzione conservativa la assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro. La Suprema Corte rigetta, quindi, il ricorso proposto dal lavoratore, confermando le decisioni dei giudici di merito e quindi la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente.