Pubblicato su Sole24Ore – Nt Lavoro – il 24/09/2024
Il beneficio dello sconto tariffario concesso ai dipendenti non ha natura retributiva e non è configurabile quale diritto quesito, quindi è revocabile unilateralmente dal datore di lavoro. Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 25238/2024 del 19 settembre.
Il caso trae origine dal recesso datoriale dal contratto collettivo aziendale, che prevedeva lo sconto tariffario per i dipendenti di una società di fornitura di energia elettrica. I dipendenti hanno agito in giudizio per l’accertamento del diritto a continuare a usufruire dell’agevolazione, in virtù del carattere retributivo del benefit che quindi presidiava il diritto quesito. Il Tribunale, con sentenza confermata in Appello, ha escluso il carattere corrispettivo dello sconto tariffario, dichiarato la legittimità del recesso dal contratto collettivo e rigettato il ricorso. La Cassazione ha confermato la pronuncia di merito, ritenendo condivisibile il ragionamento che ha portato a escludere la natura retributiva del beneficio.
Per la Suprema corte le caratteristiche dell’istituto, come regolato nel caso specifico dalle fonti contrattuali collettive, sono idonee a escludere ogni rapporto di corrispettività tra l’agevolazione tariffaria e la prestazione del singolo lavoratore. Invero, lo sconto sui consumi di energia elettrica e la relativa misura erano previsti a prescindere dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa resa dal singolo dipendente nonché dalla durata del pregresso rapporto e dalla posizione che il lavoratore aveva assunto in azienda, quindi «del tutto sganciato dal parametro di corrispettività con la prestazione lavorativa ed in quanto tale sottratto al rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost.».
Il beneficio, quindi, trovava origine nel complessivo regolamento del rapporto di lavoro senza essere specificamente destinato alla remunerazione della prestazione resa dal dipendente. Neppure l’inserimento dell’agevolazione nel Cud e la sua qualificazione come reddito da lavoro ai fini Irpef valgono a sorreggere la natura retributiva dell’agevolazione, tenuto conto delle specifiche finalità della legge tributaria per cui ciò che rileva è che una determinata erogazione (o il suo controvalore) costituisca indice di capacità contributiva che lo renda assoggettabile a prelievo fiscale.
Stante quanto sopra, la Corte esclude la configurabilità di un diritto quesito al mantenimento del beneficio, ricordando che gli unici diritti intangibili sono quelli che sono già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già eseguita, mentre le pretese azionate dai ricorrenti erano espressione di una mera aspettativa al mantenimento nel tempo della più favorevole normativa collettiva che ha previsto tale beneficio.
L’agevolazione tariffaria in questione trova, infatti, la propria fonte nelle disposizioni del contratto collettivo, che non si incorporano nel contenuto del contratto individuale dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano sul singolo rapporto come fonte eterogenea di regolamento del rapporto, concorrente con la fonte individuale, per cui in caso di successione dei contratti collettivi si realizza una sostituzione delle nuove clausole e le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole, salvo apposita clausola di salvaguardia, non presente nel caso specifico (Cassazione 16043/2018 e 11052/1995).
Esclusa la configurabilità di un diritto quesito al mantenimento del beneficio, il recesso datoriale risulta indubbiamente legittimo, essendo noto che, qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, esso non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché altrimenti finirebbe per vanificare la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione.
Pertanto, alla contrattazione collettiva si applica la regola generale per cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, onde evitare la perpetuità del vincolo contrattual