Corte di Cassazione ordinanza 14 giugno 2021 n. 16719
In caso di trasferimento d’azienda dichiarato illegittimo, il cedente deve corrispondere al lavoratore l’intera retribuzione senza poter detrarre quanto dal medesimo percepito per l’attività svolta alle dipendenze del cessionario, trattandosi di due rapporti che rimangono perfettamente separati e distinti.
È questo l’orientamento cui aderisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 14 giugno 2021 n. 16719.
La Corte di Cassazione innanzitutto rileva come “essendo stato accertato, con pronunzia passata in giudicato, che non sussistono le condizioni per applicare l’articolo 2112 c.c. e che il” dipendente “non ha manifestato il proprio consenso alla cessione del contratto, secondo quanto previsto dall’articolo 1406 c.c.” Di conseguenza “il rapporto di lavoro instauratosi, di fatto, tra la società cessionaria ed il lavoratore è rimasto del tutto distinto rispetto a quello che quest’ultimo aveva con” la cedente.
Prosegue la Suprema Corte rilevando come “qualora il datore di lavoro abbia operato un trasferimento di (ramo di) azienda dichiarato illegittimo ed abbia rifiutato il ripristino del rapporto senza una giustificazione, non sono detraibili dalle somme dovute al lavoratore dal datore cedente, quanto il lavoratore stesso abbia percepito, nello stesso periodo, anche a titolo di retribuzione, per l’attività prestata alle dipendenze dell’imprenditore già cessionario, ma non più tale, una volta dichiarata giudizialmente – come nella fattispecie – la non opponibilità della cessione al dipendente ceduto”.
E ciò, perché, prosegue la Suprema Corte, “in tale ipotesi, permane in capo allo stesso il diritto di ricevere le somme ad esso spettanti, da parte del datore cedente, a titolo di retribuzione e non di risarcimento (v., ancora, Cass. SS.UU. n. 2990/2018, cit.)”. E pertanto “non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno, su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento, poiché, appunto, è stato escluso che la richiesta di pagamento del lavoratore abbia titolo risarcitorio”.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dall’azienda cedente, confermando la debenza della somma ingiunta.