Corte di Cassazione ordinanza n. 29365 del 21 ottobre 2021
Il compimento dell’età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla pensione determinano la recedibilità ad nutum dal rapporto e non già la sua automatica estinzione.
Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29365 del 21 ottobre 2021.
La fattispecie trae origine dal giudizio promosso da una lavoratrice licenziata nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo la cui domanda di impugnazione del licenziamento, respinta dal Tribunale, veniva accolta dalla Corte d’appello che dichiarava l’inefficacia del recesso e condannava la società datoriale alla reintegrazione ed al risarcimento dei danni, parametrati alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla reintegra.
Sennonché la lavoratrice, che aveva esercitato il diritto di opzione ex art 18, di cui al comma 5, St. Lav. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. 92/12), si era vista liquidare dalla società a titolo di risarcimento del danno ex art 18, comma 4, S.L. un importo pari alla retribuzione globale di fatto calcolata dalla data del licenziamento fino al compimento del 65° anno di età, nel frattempo intervenuto. Pertanto, agiva in giudizio per ottenere la condanna della datrice di lavoro al pagamento del risarcimento del danno ex art 18, comma 4, S.L. anche per il periodo successivo al compimento del 65° anno e fino alla effettiva reintegra.
La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, accoglieva il ricorso della lavoratrice ritenendo che “il compimento del 65° anno di età non possa considerarsi causa risolutiva del rapporto“.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la società datrice di lavoro.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e conferma la sentenza della corte di merito sulla “inidoneità del dato anagrafico quale causa automatica di risoluzione del rapporto di lavoro”.
Tale affermazione risulta, in diritto, come si legge nell’ordinanza in esame, “conforme all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui il compimento dell’età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per il sorgere del diritto a pensione, determinando solo la recedibilità ad nutum dal rapporto e non già la sua automatica estinzione, non ostano, qualora vengano a verificarsi durante la pendenza del giudizio di impugnazione del licenziamento, all’emanazione del provvedimento di reintegra del lavoratore e alla condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno ex art. 18 st. lav. nella misura corrispondente alle retribuzioni riferibili al periodo compreso fra la data del recesso e quella della reintegrazione, non giustificandosi per contro, al fine della liquidazione del danno subito dal lavoratore, alcun giudizio prognostico circa il termine nel quale, in relazione al raggiungimento della detta età pensionabile, il rapporto si sarebbe comunque interrotto, anche in assenza dell’illegittimo recesso (v. Cass. n. 3849 del 2017 in motivazione; v. anche Cass. n. 9312 del 2014; n. 6047 del 2014; n. 2380 del 2007; n. 1908 del 1998)”.
E ancora prosegue la Suprema Corte “non è pertinente il riferimento fatto dalla” società “ricorrente alla ipotesi di impossibilità di reintegra per cessazione attività aziendale, posto che quest’ultima presuppone una impossibilita di fatto e non giuridica, come invece quella che si vuole far conseguire dal compimento del 65° anno di età ”.