Pubblicato su Sole24Ore – NT Lavoro – il 27/04/2023
Un licenziamento per giusta causa notificato oltre il termine previsto dal Ccnl applicato al rapporto di lavoro è stato ritenuto illegittimo dal Tribunale e dalla Corte d’appello. In particolare, il Ccnl dispone che «la comunicazione del provvedimento deve essere inviata per iscritto al lavoratore entro e non oltre 30 giorni dal termine di scadenza della presentazione delle giustificazioni, in difetto di che il procedimento disciplinare si ha per definito con l’archiviazione».
Nel caso specifico, la società ha inviato una prima volta il provvedimento, entro i termini previsti dal Ccnl, ma a un indirizzo errato e la notifica non si è perfezionata. Successivamente, la società ha notificato il provvedimento all’indirizzo esatto, ma 10 giorni oltre il termine previsto dal Ccnl. I giudici di merito hanno stabilito che il mancato rispetto del termine comportava la definizione del procedimento disciplinare con l’archiviazione e che doveva trovare applicazione la tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18, comma 4, della legge 300/1970.
La società ha presentato ricorso in cassazione, sostenendo che la prima notifica doveva considerarsi perfezionata in quanto, nonostante l’errata indicazione del civico, il portalettere aveva ricercato inutilmente la lavoratrice presso tutte le abitazioni della stessa via. Sotto diverso profilo, la società contestava la tutela reintegratoria accordata dai giudici di merito, rilevando che il mancato rispetto del termine finale non implica certamente ex sé la negazione dei fatti di cui il lavoratore è stato accusato né la presunzione iuris et de iure di positiva valutazione degli stessi da parte del datore e neppure la consumazione del potere disciplinare per acquiescenza, ben potendo essere il ritardo esclusivamente imputabile a mero (pur colpevole) errore.
La Cassazione (sentenza 10802/2023) ha rigettato il primo motivo di ricorso sul rilievo che il mancato perfezionamento della notifica fosse addebitabile esclusivamente alla società, essendo escluso che l’invio della comunicazione di licenziamento che non sia andata a buon fine per causa imputabile al datore di lavoro possa avere effetto impeditivo della decadenza.
In merito al secondo motivo di ricorso, la cassazione richiama le sezioni unite 30985/2017 sul principio di tempestività che caratterizza il procedimento disciplinare e sul tema delle conseguenze sanzionatorie nel regime della legge 92/2012, che hanno rilevato una distinzione concettuale tra la «violazione delle regole che scandiscono le modalità di esecuzione dell’intero iter procedimentale nelle sue varie fasi e la violazione del principio generale di carattere sostanziale della tempestività della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato».
Per la Suprema corte, nel primo caso rileva il semplice rispetto delle regole di natura procedimentale mentre nel secondo caso vengono in considerazione esigenze più importanti, come quella di garantire al lavoratore una difesa effettiva, di tutelare il suo legittimo affidamento in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare e di sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare.
Nel caso specifico, accertata la violazione dei termini previsti della contrattazione collettiva per la comunicazione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, la comunicazione di licenziamento è stata inviata con 10 giorni di ritardo e secondo i giudici di merito il potere disciplinare datoriale doveva ritenersi ormai consumato stante il decorso del termine massimo pattuito. Tale conclusione contrasta con i principi enunciati dalle sezioni unite, secondo cui il mancato rispetto dei termini previsti dal contratto collettivo per la comunicazione della lettera di licenziamento integra una violazione di natura procedimentale e comporta l’applicazione della sanzione indennitaria dell’articolo 18, comma 6, mentre una tutela maggiore per il lavoratore può conseguire unicamente a fronte di un ritardo notevole e non giustificato nella intimazione del licenziamento, così come nella contestazione disciplinare, in grado di ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività.