Pubblicato su Sole24Ore – Nt Lavoro – il 17/04/2024
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla «insussistenza del fatto» – ipotesi comprensiva dell’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore – consegue sempre la tutela reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti dì legittimità del recesso.
Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 9937/2024 del 12 aprile.
Il caso trae origine dal licenziamento di un dipendente per inidoneità fisica alla mansione, ritenuto illegittimo per l’indimostrata impossibilità di repêchage.
La Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale, ha rammentato l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità che esonera il lavoratore dell’onere di indicare nel ricorso le posizioni alternative cui avrebbe potuto venire adibito, con conseguente onere datoriale di provare l’impossibilità del repêchage.
Per assolvere a tale onere probatorio, trattandosi della prova di un fatto negativo, il datore non può sfruttare la mancata indicazione da parte del lavoratore, ma deve fornire la prova, di carattere presuntivo, che «tutti i posti di lavoro erano stabilmente occupati al momento del licenziamento e che, dopo di esso e per un congruo periodo di tempo, non sono state effettuate assunzioni».
Nel caso specifico, il datore non ha fornito tale prova e pertanto il licenziamento è stato ritenuto illegittimo, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria “attenuata” in base all’articolo 18, comma 4, della legge 300/1970.
La società ha presentato ricorso in Cassazione, contestando sia il riparto degli oneri probatori che, in ogni caso, l’applicazione della tutela reintegratoria. In merito agli oneri di prova, la Cassazione conferma l’orientamento espresso dalla Corte territoriale, ricordando che, nell’ipotesi di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, il datore deve provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso, dimostrando le condizioni del dipendente, l’impossibilità di adibirlo a mansioni compatibili con il suo stato di salute, eventualmente anche inferiori, nonché l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli (Cassazione 6497/2021).
Con riferimento alle conseguenze sanzionatorie, l’ordinanza ricorda che la violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore a possibili mansioni alternative, compatibili con il suo stato di salute, configura l’ipotesi di difetto di giustificazione, a cui consegue la tutela reintegratoria (Cassazione 26675/2018).
A tal proposito, la Suprema corte rammenta la sentenza 125/2022 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 7, secondo periodo, della legge 300/1970, limitatamente alla parola «manifesta», con la conseguenza che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la «insussistenza del fatto» – fatto da intendersi comprensivo della impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore – va applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso.
E invero, il giudice delle leggi aveva già dichiarato l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione nella parte in cui prevedeva, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, un potere discrezionale del giudice in ordine all’applicazione della tutela reale (Corte costituzionale 59/2021).