Pubblicato su Sole24Ore – NT Lavoro – il 11/10/2022
Il caso oggetto dell’ordinanza della Corte di cassazione 29113/2022 del 6 ottobre trae origine dal ricorso presentato da una dirigente pubblica a seguito del rifiuto da parte dell’Asl di corrisponderle, alla cessazione del rapporto di lavoro, l’indennità sostitutiva per ferie maturate negli ultimi 15 mesi, non concesse per «necessità di servizio».
Sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno respinto le istanze della dirigente, sostenendo che la stessa non avesse provato che il mancato godimento delle ferie fosse dovuto a esigenze di servizio, né quali fossero state le specifiche motivazioni che avevano determinato l’accumulo di tali giornate. La dirigente ha presentato ricorso in cassazione, sostenendo che i giudici di merito le avrebbe attribuito oneri probatori che non le erano propri, essendo pacifico che il periodo di ferie di cui si rivendicava la monetizzazione non era stato fruito e il rapporto era cessato.
La Corte di cassazione ritiene «palesemente fondato» il motivo di ricorso, richiamando la giurisprudenza di legittimità consolidatasi sul punto e rilevando la decisiva influenza dispiegata sul tema dalla normativa dell’Unione europea. La Suprema corte richiama la sentenza Max-Planck della Corte di giustizia del 2018, per cui la normativa europea (articolo 7 della direttiva 2003/88/Ce e articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) deve interpretarsi nel senso che osta a una normativa nazionale in applicazione della quale il lavoratore perde automaticamente il diritto a usufruire delle ferie annuali se non ne ha fatto richiesta durante il periodo di riferimento, a prescindere dalla verifica che egli sia stato posto dal datore in condizione di esercitare effettivamente tale diritto.
Tale orientamento si coordina con la pronuncia della Corte costituzionale sull’articolo 5, comma 8, del Dl 95/2012, disposizione richiamata nelle difese dall’Asl per cui, nell’ambito del lavoro pubblico, ferie, riposi e permessi non possono essere «in nessun caso» monetizzati. Per la Consulta, infatti, tale disposizione non è illegittima costituzionalmente in quanto deve essere interpretata nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto a eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando a essere chiamata in causa sia la «capacità organizzativa del datore di lavoro» (Corte costituzionale 95/2016).
Richiamando il proprio consolidato orientamento, la Cassazione ricorda che, alla cessazione del rapporto, il dirigente pubblico ha diritto all’indennità sostitutiva per ferie non godute, salvo che «il datore di lavoro dimostri di averlo messo nelle condizioni di esercitare il diritto in questione prima di tale cessazione, mediante un’adeguata informazione nonché, se del caso, invitandolo formalmente a farlo» (Cassazione 13613/2020). Non vale, infine, a escludere tale diritto neppure il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, salvo il datore dimostri di aver formalmente invitato il dirigente a fruirne e di aver assicurato che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento (Cassazione 18140/2022).