Anche nel rapporto di lavoro part-time verticale occorre tener conto, ai fini del calcolo del comporto, dei giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell’episodio morboso
Tribunale di Roma, ordinanza del 18 luglio 2021
La vicenda trae origine dal licenziamento per superamento del periodo di comporto, intimato ad una lavoratrice assunta con contratto di lavoro part-time verticale che prevedeva tre giornate lavorative a settimana, dal giovedì al sabato.
Il CCNL (Terziario) applicato al rapporto di lavoro di cui è causa prevede la riparametrazione del periodo di comporto per i dipendenti assunti con contratto part-time verticale o misto “per un periodo massimo non superiore alla metà delle giornate lavorative concordate fra le parti in un anno solare”. In virtù delle tre giornate lavorative settimanali concordate, la società quantificava in 78 giorni il periodo di comporto spettante alla lavoratrice, superato il quale procedeva al licenziamento.
In particolare, la lavoratrice si era assentata continuativamente per oltre tre mesi, presentando 16 certificati di malattia riferibili alla medesima patologia, in base ai quali ogni singolo congedo iniziava il giovedì e terminava il sabato, coincidendo esattamente con le giornate lavorative concordate.
Di conseguenza, la società faceva rientrare nel calcolo del periodo di comporto usufruito non solo i giorni di malattia effettivamente risultanti dai certificati medici, ma anche i giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza tra un congedo di malattia e il seguente, presumendo la continuità dell’episodio morboso.
In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, «nel periodo di comporto per malattia vanno computati anche i giorni non lavorativi e le assenze intermedie del lavoratore tra una malattia e quella seguente, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, la continuità dell’episodio morboso, onde grava sul lavoratore l’onere della prova contraria a tale presunzione».
La lavoratrice eccepiva la nullità del licenziamento per errato conteggio dei giorni di malattia usufruiti, evidenziando come tutti i certificati prodotti per l’arco temporale in questione davano conto di un inizio di malattia diverso, che iniziava il giovedì e terminava il sabato, argomentando che pertanto non si era in presenza di una malattia continuativa. Sempre secondo la lavoratrice, diversamente conteggiando, la società avrebbe violato il principio di non discriminazione e di parità di trattamento nei confronti dei lavoratori a tempo pieno.
Il Giudice, di diverso avviso, ha rigettato il ricorso della lavoratrice accogliendo integralmente la tesi difensiva della società resistente.
In primo luogo, il Giudice ha rilevato come tutti i certificati prodotti fossero stati rilasciati per la medesima patologia, per cui «non è plausibile ritenere che ben 16 certificati di malattia possano essere imputabili a 16 eventi traumatici diversi tanto più che, come visto, la patologia riportata è sostanzialmente sempre la medesima».
In aggiunta, il Giudice ha richiamato il principio giurisprudenziale di continuità dell’evento morboso salvo che il lavoratore provi il contrario, ritenendo quindi che «correttamente la società resistente ha inserito nella base di computo anche i giorni non lavorativi e i festivi posto che pacificamente la ricorrente non è mai rientrata in servizio tra un certificato e un altro né ha mai allegato e/o provato di aver sofferto di eventi morbosi l’uno distinto dall’altro con diversa eziologia»
Infine, in merito alla presunta violazione del principio di non discriminazione e di parità di trattamento, il Giudice al contrario ha ritenuto che la disparità di trattamento si verificherebbe proprio nel caso in cui si addivenisse alla tesi di parte ricorrente. Infatti, secondo il Giudice «se si applicasse il principio del riproporzionamento basandosi esclusivamente sul numero di giornate lavorative concordate e non in base a quelle astratte di calendario si verrebbe al paradosso di applicare ai lavoratori part-time verticale un periodo di comporto così elevato da alterare il sinallagma proprio del contratto di lavoro».