Pubblicato su Sole24Ore – Nt Lavoro – il 10 aprile 2024
L’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, a eccezione dei soli casi in cui la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute.
Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 9120/2024.
Un dipendente è ricorso in giudizio per ottenere il risarcimento del danno differenziale da infortunio occorso mentre faceva rifornimento per il camion che aveva in dotazione, inciampando a causa del tubo di erogazione dell’impianto di rifornimento sito presso la sede aziendale, mentre si trovava posizionato su una piattabanda collocata a un livello inferiore rispetto al distributore.
La Corte d’appello, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato le pretese del dipendente, in quanto né dalle deposizioni testimoniali né dal ricorso introduttivo del giudizio erano emerse le norme di prevenzione asseritamente violate dal datore di lavoro, e ritenendo che l’incidente fosse da attribuirsi alla sola negligenza e imprudenza del lavoratore, infortunatosi a causa di una caduta mentre riforniva l’automezzo, manovra che, come autotrasportatore, eseguiva ormai da molti anni.
Il dipendente ha presentato ricorso in cassazione per violazione o falsa applicazione dell’articolo 2087 del Codice civile e degli articoli 15 e 18 del Dlgs 81/2008, sostenendo che l’infortunio era da attribuirsi alla esclusiva responsabilità del datore, per non avere apprestato le opportune misure di sicurezza nell’area di sosta dove è ubicato il serbatoio del gasolio per consentire il rifornimento dei mezzi.
La Suprema corte, in via preliminare, rammenta che l’articolo 2087 del Codice civile impone all’imprenditore di adottare tutte le misure e le cautele atte a preservare l’integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche concrete dei luoghi di lavoro e, in generale, della realtà aziendale.
La formulazione di tale norma correla l’obbligo di protezione alle concrete e indefinite situazioni di rischio a cui il lavoratore può trovarsi esposto e in tal modo impone al datore di lavoro l’adozione non solo delle misure “nominate”, ma anche di tutte quelle che, seppure non tipizzate, siano richieste dalle conoscenze tecniche e dall’esperienza riferite ad un determinato momento storico.
In merito agli oneri di allegazione e prova, il lavoratore ha l’onere di provare il fatto costituente, l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno, ma non anche la colpa datoriale. A differenza di quanto stabilito dalla Corte d’appello, dunque, l’onere di allegazione del lavoratore non può estendersi fino a comprendere l’individuazione delle specifiche norme di sicurezza violate dal datore di lavoro soprattutto quando, come nel caso specifico, non si tratti di misure tipiche o nominate, ma di casi in cui le modalità di conformazione del luogo di lavoro ai requisiti di sicurezza sono molteplici e differenti.
Il lavoratore deve allegare la condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, e il nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e il danno psicofisico sofferto, incombendo a questo punto su parte datoriale l’onere di provare l’inesistenza della condizione di pericolo oppure di aver predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti.
Per la Cassazione, quindi, «il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute». Qualora non ricorrano simili caratteristiche nella condotta del lavoratore, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio, non rilevando in alcun grado l’eventuale concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza.
La Corte d’appello non si è attenuta a questi principi, avendo richiesto al lavoratore l’individuazione delle norme di sicurezza violate dal datore di lavoro e avendo ritenuto la negligenza del dipendente di per sé idonea a elidere la responsabilità datoriale. Pertanto, la Suprema corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza con rinvio.