Pubblicato su Sole24Ore – Nt Lavoro – il 07/07/2023
L’esclusione dalla procedura di selezione per difetto del requisito minimo di altezza, stabilito in 160 centimetri sia per gli uomini, sia per le donne candidate, costituisce una discriminazione indiretta di genere.
Così la Corte di cassazione, con l’ordinanza 18522 del 28 giugno 2023.
Nel caso di specie, una candidata veniva esclusa dalla procedura di selezione per l’assunzione di personale con qualifica di Capo Treno per difetto del requisito minimo di altezza di 160 centimetri richiesto a tutti i candidati, a prescindere dal sesso.
Per la Corte d’appello, l’esclusione della candidata dalla procedura costituiva una discriminazione indiretta di genere, in virtù della consulenza tecnica d’ufficio che aveva stabilito che tale requisito minimo di statura non era appropriato e funzionale rispetto alla mansione di Capo Treno.
La società ricorreva in cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, di essersi limitata a dare puntuale esecuzione agli obblighi vigenti nel settore del trasporto ferroviario in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria (articoli 1 e seguenti della legge 874 del 1986, del Dlgs 188 del 2003, del Dlgs 162 del 2007, nonché del decreto Ansf 1/2009 del 6 aprile 2009).
La Corte di legittimità, investita della questione, rigettava le pretese della società, rilevando il carattere discriminatorio di una norma che preveda un requisito di statura minima identica per uomini e donne, per contrasto con il principio di uguaglianza in quanto presuppone erroneamente la non sussistenza della diversità di statura mediamente riscontrabile tra uomini e donne.
In tal caso, infatti, il giudice ordinario ne apprezza, incidentalmente, la legittimità ai fini della disapplicazione, valutando in concreto la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni.
Per gli Ermellini, quanto sopra trova fondamento nell’assunto della Corte costituzionale secondo cui «ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest’ultimo sarà conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono» (sentenza 163/1993).
Secondo il Giudice delle leggi, il principio di eguaglianza impone di verificare che non sussista violazione del criterio di proporzionalità del trattamento giuridico previsto rispetto alla classificazione operata dal legislatore, tenendo conto del fine obiettivo insito nella disciplina normativa considerata.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, il Tribunale ha correttamente disapplicato la normativa secondaria, ritenuta non conforme al principio di non discriminazione, non risultando dirimente la circostanza, rilevata dalla società, di essersi attenuta ad una regola stabilita da Autorità terza, in quanto la discriminazione opera obiettivamente e a prescindere dall’intento soggettivo dell’autore.
Sotto diverso profilo, infine, la Corte rileva che nel caso di discriminazione indiretta la disparità vietata è proprio l’effetto di un atto, di un patto, di una disposizione, di una prassi di per sé legittima (Cassazione 20204/2019).