Non costituisce reddito soggetto a tassazione il risarcimento del danno non patrimoniale alla professionalità del lavoratore. Si tratta, infatti, di una lesione che rientra nel danno emergente e non nel lucro cessante
Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 2472 del 3 febbraio 2021
Il caso trae origine dalla sentenza del Tribunale di Roma che condannava la società convenuta a corrispondere, ad una propria dipendente, un importo pari al 50% della retribuzione mensile per ogni mese di demansionamento a titolo di «danno non patrimoniale alla professionalità».
A fronte dell’adempimento parziale al dictum giudiziale da parte della società, la lavoratrice si rivolgeva nuovamente al medesimo Tribunale che ne accoglieva la domanda, sostenendo che il risarcimento era da liquidarsi al lordo delle spettanze creditorie della lavoratrice, al contrario di quanto fatto dalla società.
La Corte di Appello confermava la pronuncia di primo grado rilevando come la natura del credito (danno non patrimoniale alla professionalità) ovvero comunque la sua natura risarcitoria (danno emergente) non determinava che gli importi dovuti fossero qualificabili come reddito di lavoro dipendente ex art. 49, comma 1, T.U.I.R. D.P.R. n. 917/1986.
La società datrice ricorreva in Cassazione avverso tale sentenza, lamentando l’erroneità della decisione della Corte di merito laddove ha ritenuto che il danno liquidato espressamente a titolo di «danno non patrimoniale alla professionalità» non avesse carattere retributivo.
Inoltre, secondo la società, il Tribunale non avrebbe dovuto ricondurre il danno da dequalificazione professionale nell’alveo del «danno emergente» ma, al contrario, nell’alveo del «lucro cessante» e in quanto tale imponibile.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, rigetta il ricorso e conferma la decisione della Corte di merito.
La Corte di Cassazione, a tal proposito, rileva che «in tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o di svilirne i compiti (Cass. n. 24585 del 2019)».
Ne consegue, conclude la Corte di Cassazione, che «tale tipologia del pregiudizio, come riconosciuto, determina la sua appartenenza alla fattispecie del danno emergente, e non di lucro cessante ravvisabile nelle ipotesi di perdita derivante dalla mancata percezione di redditi di cui siano maturati tutti i presupposti, per cui non è considerata reddito soggetto a tassazione (Cass. n. 2549 del 2011; Cass. n. 29579 del 2011; Cass. n. 5108 del 2019)».