Il Giudice non può sostituirsi al datore di lavoro nella graduazione della sanzione disciplinare, salvo che per ricondurla entro il massimo edittale o su richiesta del datore
Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 27911 del 4 dicembre 2020
Non è consentito al Giudice di sostituirsi al datore di lavoro nella graduazione della sanzione da irrogare in concreto salvo quando «l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite» oppure «sia lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’annullamento della sanzione, a chiedere, nel suo atto di costituzione, la riduzione della sanzione e il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta».
Così la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 27911 del 4 dicembre 2020.
Nelle citate ipotesi, infatti, prosegue la sentenza in esame «l’applicazione all’esito del giudizio di una sanzione minore è da ritenersi legittima, in quanto non implica la sottrazione della sua autonomia all’imprenditore e realizza l’economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima (v, tra le altre, Cass. nn. 3896/2019; 8910/2007; 15932/2004; 7462/2002; 14841/2000)».
Investita della questione, la Suprema Corte, confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello, ribadisce il proprio orientamento secondo cui è precluso al giudice, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di una sanzione disciplinare irrogata, esercitare il potere di infliggere sanzioni anche solo procedendo ad una rideterminazione della stessa riducendone la misura.
Per i Giudici di legittimità, tale principio generale conosce soltanto due eccezioni, che sono le uniche che possono configurarsi.
La prima si manifesta nell’ipotesi in cui l’imprenditore abbia superato il massimo edittale: in questo caso, infatti, il giudice è legittimato a ricondurre la sanzione entro a tale limite.
La seconda eccezione si configura, invece nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione. Ciò consente al giudice di ridurre la sanzione, dal momento che, così facendo, non scalfisce l’autonomia dell’imprenditore, ma si adegua ad un nuovo giudizio valutativo che il datore ha fatto con riferimento alla medesima sanzione.
Nel caso di specie la sanzione della sospensione era stata inflitta sul presupposto che il lavoratore fosse recidivo, mentre la recidiva non poteva essere più ravvisata a seguito dell’annullamento di entrambe le sanzioni richiamate nel provvedimento disciplinare.
Di conseguenza, la Corte d’Appello annullava la sanzione inflitta, senza prevedere alcun provvedimento disciplinare alternativo o sostitutivo.
Su tali presupposti, prosegue la Suprema Corte «del tutto condivisibilmente, i giudici di seconda istanza si sono limitati ad annullare la sanzione disciplinare di cui si tratta, avendo sottolineato che, nella fattispecie, non si configura alcuna delle due ipotesi (di cui innanzi si è detto) nelle quali è consentita la riduzione della sanzione ad opera del giudice, poiché la società non si è limitata ad eccedere il limite edittale, ma ha erroneamente applicato la norma contrattuale di riferimento, ed inoltre, il datore di lavoro, nel costituirsi in giudizio, ha solo chiesto il rigetto del ricorso e non ha domandato, neppure in via subordinata, che in caso di accoglimento del motivo la sanzione fosse ridotta ad opera del Giudice».