Pubblicato sul Sole24Ore – NT Lavoro – il 15/03/2023
Il caso affrontato dalla sentenza della Corte di cassazione 7306 del 13 marzo 2023 trae origine dal licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente che aveva usufruito dei permessi ex articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 anche per finalità estranee all’assistenza ai genitori disabili.
In particolare, dalle indagini effettuate per il tramite di investigatori era emerso che nelle giornate di permesso il lavoratore si era dedicato anche alla lettura di libri presso i giardini pubblici in orario corrispondente a quello lavorativo, circostanza rilevata in due occasioni e sempre per due ore circa.
La Corte d’appello di Genova, confermando la pronuncia del Tribunale, dichiarava l’illegittimità del licenziamento, avendo il lavoratore dimostrato di essersi dedicato, attraverso numerose attività e incombenze, all’assistenza dei genitori durante i giorni di permesso utilizzati.
In tale contesto, gli intervalli di tempo non dedicati alla cura dei genitori dovevano considerarsi non decisivi, essendo stata assicurata dal lavoratore l’assistenza ai genitori in tale periodo, pur con la flessibilità necessaria al medesimo per curare i suoi bisogni personali e la sua integrità psicofisica.
La società ricorreva in cassazione, sostenendo che l’assenza dal lavoro per fruire dei permessi dovesse porsi in «relazione diretta» con l’assistenza alle persone disabili per cui è stata concessa e che il giudizio di proporzionalità tra tempo-assistenza e tempo-svago dovesse essere effettuato avuto a riguardo all’orario lavorativo e non all’intera giornata di 24 ore.
La Cassazione, investita della questione, ha rigettato il ricorso della società fornendo un’analisi dei principi che regolano l’utilizzo dei suddetti permessi.
Richiamando la pronuncia della Corte costituzionale 213/2016, la Corte di legittimità rammenta che il permesso per assistere i parenti disabili è espressione dello Stato sociale, il quale eroga una provvidenza in forma indiretta con la ratio di assicurare in via prioritaria una continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare.
In tale contesto, evidenziano i giudici, il nesso che pone il testo normativo non è di tipo strettamente temporale – tra la fruizione del permesso e l’assistenza durante l’orario di lavoro – ma funzionale. Di conseguenza, occorre valutare le modalità e i tempi in cui è prestata l’assistenza in ragione delle finalità per cui i permessi sono concessi, consistente nella tutela delle persone con disabilità.
Il nesso causale, dunque, tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile deve essere inteso non nel senso di imporre al lavoratore il sacrificio delle proprie esigenze personali, ma quale «chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo di prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile».
Applicando i principi sopra esposti ed escluso un utilizzo dei permessi in funzione «meramente compensativa» delle energie impiegate dal lavoratore per l’assistenza ai parenti con disabilità in orario extralavorativo, per la Cassazione spetta al giudice di merito determinare di volta in volta se possa considerarsi realizzata la funzione della preminente esigenza di tutela delle persone affette da disabilità, pur quando sia salvaguardata una residua conciliazione con le altre incombenze di tipo personale.
Pertanto, non si ha abuso del diritto, né violazione degli obblighi di correttezza e buona fede quando, come nel caso di specie, il lavoratore in permesso abbia svolto l’attività di assistenza in tempi e modi da soddisfare in via preminente le esigenze dei congiunti disabili, pur senza abdicare alle esigenze personali e a prescindere dalla collocazione temporale di tale assistenza.