L’omessa contestazione di taluni fatti, poi esplicitati nella lettera di licenziamento, configura un’ipotesi di «insussistenza del fatto contestato»
Cassazione Civile, sez. lav., 24 febbraio 2020, n. 4879
Con la sentenza n. 4879 del 24 febbraio 2020, la Corte di Cassazione si pronuncia sulle conseguenze del licenziamento disciplinare preceduto da una parziale contestazione dei fatti addebitati.
Secondo la Suprema Corte, l’omessa contestazione ex art. 7 L. 300/1970 di taluni comportamenti, poi esplicitati nella lettera di licenziamento, integra la fattispecie della «insussistenza del fatto contestato», cui è ricollegata la sanzione della reintegrazione ex art. 18 St. Lav. .
La Corte di Cassazione ha confermato che in caso di vizi formali procedurali (art. 18, comma 6 St. Lav.) si applica la ridotta tutela indennitaria, ferma restando però l’applicazione delle diverse tutele previste dall’art. 18, commi 4°, 5° o 7° – in sostituzione della tutela indennitaria ridotta e non in aggiunta ad essa – nel caso in cui venga accertata, su istanza del lavoratore, l’ingiustificatezza del licenziamento.
Secondo gli Ermellini il problema si pone, tuttavia, in relazione alle conseguenze legate ad un’interpretazione letterale della legge, che potrebbe condurre a ritenere operativa questa sanzione ridotta anche in relazione ai casi in cui il licenziamento per motivi soggettivi non sia preceduto da una contestazione disciplinare degli addebiti ex art. 7 L. n. 300 del 1970.
A tal proposito, la Suprema Corte rileva che ritenendo tale violazione alla stregua di un mero vizio procedurale “il datore di lavoro potrebbe allegare per la prima volta in giudizio, e dopo aver letto il ricorso del lavoratore, i fatti posti a base del licenziamento, potendo beneficiare, ove tali fatti siano provati ed idonei a configurare un valido motivo di licenziamento, di un regime sanzionatorio contenuto se raffrontato alle ulteriori sanzioni previste dalla medesima disposizione”.
Per questo motivo, prosegue la Suprema Corte, “appare preferibile la diversa interpretazione secondo la quale, ove il licenziamento venga intimato senza contestazione disciplinare, lo stesso continua, come in passato, ad essere considerato ingiustificato ed è sanzionato con la reintegrazione ad effetti risarcitori limitati”, trattandosi di «insussistenza del fatto contestato» ex art 18, comma 4, St. Lav, disposizione quest’ultima che “implicitamente non può che ricomprendere anche l’ipotesi di inesistenza della contestazione”.
Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, qualora la società fondi il licenziamento su condotte non precedentemente addebitate al lavoratore, si integra il radicale difetto di contestazione dell’infrazione che determina l’inesistenza dell’intero procedimento disciplinare.
Per la sentenza, in tali circostanze non si ricade, pertanto, nell’ipotesi del vizio di forma – per non essere stato correttamente adempiuto il procedimento disciplinare previsto dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori – a cui è ricollegato il solo rimedio indennitario, ma nella diversa e più grave fattispecie del fatto insussistente, a cui l’art. 18, comma 4, della L. 300/1970 – ratione temporis applicabile – riconnette la reintegrazione.
Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società datrice, confermando l’illegittimità del recesso dalla stessa irrogato e il conseguente diritto del dipendente ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro.