Per la Corte di Cassazione è subordinato il lavoratore che impartisce direttive al personale e non può essere, pertanto, qualificato come un consulente
Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 3 novembre 2020, n. 24391
Con l’ordinanza n. 24391 del 3 novembre 2020, gli Ermellini offrono un’ampia disamina della subordinazione, in particolare con riferimento al rapporto di lavoro dirigenziale.
La sentenza in commento segue la pronuncia della Corte di merito che aveva qualificato come subordinato il rapporto di lavoro formalmente configurato come “consulenza libero-professionale per servizi di marketing strategico e operativo”, con conseguente qualificazione dell’atto di risoluzione del rapporto come licenziamento e condanna della società alla regolarizzazione contributiva, al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare.
Nel confermare la decisione della Corte di merito, i Giudici della Suprema Corte ricordano che, come noto, «il requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative e dall’esercizio del potere disciplinare». Inoltre, l’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione, fermo restando che «ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo».
E così, i Giudici della Suprema Corte ricordano che «non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il “nomen iuris” che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l’autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità del rapporto medesimo (Cass. 19/08/2013, n. 19199. Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500)».
Con particolare riferimento alla qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato in presenza di prestazione con elevato contenuto intellettuale, secondo i Giudici «è necessario verificare se il lavoratore possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell’attività lavorativa in funzione dell’assetto organizzativo aziendale (cfr. Cass. 01/08/2013, n. 18414; Cass. 15/05/2012 n. 7517; Cass. 14/02/2011, n. 3594), potendosi ricorrere altresì, in via sussidiaria, a elementi sintomatici della situazione della subordinazione quali l’inserimento nell’organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l’inerenza al ciclo produttivo, l’intensità della prestazione, la retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato».
In particolare, per la configurazione del lavoro dirigenziale – nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia e il potere direttivo del datore di lavoro non si manifesta in ordini e controlli continui e pervasivi, ma nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico – il giudice «deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell’ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata aziendale (Cass. 10/05/2016, n.9463; Cass. 15/05/2012 n. 7517)».
Per la Suprema Corte, pertanto, la decisione impugnata risulta coerente con tale impostazione sia perché riconosce come prevalenti le concrete modalità di svolgimento della prestazione rispetto al nomen iuris, sia perché «la valorizzazione dei cd. indici sussidiari è frutto della specifica considerazione delle caratteristiche dell’attività dedotta la quale, per i suoi elevati contenuti intellettuali, non si presta ad essere oggetto di penetranti poteri conformativi della parte datoriale».
Nel caso di specie, infatti, gli elementi considerati dal giudice di appello per ritenere integrato l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale erano stati la direzione funzionale del personale dipendente da parte dello stesso, la direzione gerarchica nei confronti delle risorse allo stesso sottoposte, la “ontologica” soggezione gerarchica ad un responsabile della società, l’utilizzo di risorse aziendali, la previsione del rimborso delle spese di trasferta.