Pubblicato su Sole24Ore – NT Lavoro – il 23/09/2022
La tutela reintegratoria «attenuata» ex articolo 18, comma 4, trova applicazione in caso di licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110, comma 2, del Codice civile a prescindere dal numero dei dipendenti in forza al datore di lavoro.
Così la Corte di cassazione, con la sentenza n. 27334 del 16 settembre 2022.
Il caso trae origine dal licenziamento per superamento del periodo di comporto, intimato da una società con meno di 15 dipendenti a una lavoratrice assente in seguito a un incidente avvenuto nell’espletamento delle proprie mansioni.
Per il Tribunale, i periodi di malattia non sarebbero dovuti rientrare nel calcolo del comporto stante la comprovata responsabilità datoriale nel causare l’infortunio, quindi il licenziamento era da ritenersi nullo, in quanto intimato in violazione dell’art. 2110 comma 2, cod. civ. .
In merito alle conseguenze, il Tribunale riteneva applicabile la tutela reintegratoria c.d. «attenuata» in virtù del combinato disposto dell’art. 18, commi 4 e 7, St. Lavoratori, sostenendo fosse destinato a regolare il regime della nullità per violazione dell’art. 2110, comma 2, cod. civ., in deroga alla disciplina prevista dai commi 1 e 2 del medesimo art. 18 ed a prescindere dal requisito dimensionale del datore di lavoro.
La Corte d’Appello, condiviso l’accertamento dei fatti operato dal Tribunale, giungeva a conclusioni differenti in merito alle conseguenze sanzionatorie applicabili.
Per la Corte del gravame, infatti, l’interpretazione fornita dal Tribunale si poneva in netto contrasto con l’art. 18, comma 8, L. 300/1970, che limita espressamente l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata ai datori con più di quindici dipendenti.
Sotto diverso profilo e richiamando la pronuncia della Cassazione n. 17589/2016, la Corte non riteneva applicabile alla fattispecie in esame il regime di nullità di diritto comune e la conseguente applicazione dell’art. 18, comma 1. Tale conclusione, infatti, avrebbe comportato l’irragionevole conseguenza per cui, a fronte del licenziamento intimato prima del superamento del comporto, i dipendenti dei datori con più di quindici dipendenti avrebbero diritto alla tutela reintegratoria «attenuata» mentre i dipendenti di datori più piccoli avrebbero diritto alla tutela reintegratoria piena.
Di conseguenza, la Corte d’Appello riconduceva il caso in esame alla previsione dell’art. 8, L. 604/1966, con condanna della società alla corresponsione di sei mensilità. Investita della questione, la cassazione ricorda che il licenziamento intimato prima del superamento del periodo di comporto è «nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c.c.», richiamando a tal proposito la pronuncia delle Sezioni Unite n. 12568/2018 che ha già risolto il contrasto emerso in seno alla giurisprudenza di legittimità sulla fattispecie in esame, tra la tesi della nullità del recesso oppure la sua temporanea inefficacia.
Per le Sez. Unite, tale licenziamento pur rientrando tra gli «altri casi di nullità previsti dalla legge» di cui al comma 1 dell’art. 18, è inserito nel comma 7 soltanto quoad poenam, al fine cioè dell’applicazione del rimedio meno rigoroso quale è la tutela reintegratoria attenuata. Ricordando che l’art. 8 della L. 604/1966 disciplina unicamente le conseguenze del licenziamento illegittimo perché intimato in difetto di giusta causa o giustificato motivo, gli Ermellini affermano l’erroneità in diritto della tesi accolta dalla Corte d’Appello. Esclusa l’applicabilità dell’art. 8, L. 604/1966, per la cassazione non può trovare applicazione neppure l’art. 18, comma 1, per le stesse motivazioni addotte dalla Corte d’Appello, rilevando come in caso contrario, garantendo una tutela maggiore ai dipendenti di piccole aziende rispetto ai lavoratori in regime di tutela reale, si darebbe luogo ad una «evidente irragionevolezza nel sistema ed una disarmonia nel regime delle tutele per il caso di licenziamento».
Per la Suprema Corte, quindi, il licenziamento in violazione dell’art. 2110 cod. civ. resta assoggettato alla disciplina generale del licenziamento nullo, stante «l’irrilevanza, rispetto alla fattispecie di cui si discute, del criterio selettivo basato sul numero dei dipendenti che, se può giustificare livelli diversi di tutela in ipotesi di licenziamento annullabile non può legittimare una diversificazione delle conseguenze del licenziamento nullo». Secondo i Giudici, tale interpretazione è la sola compatibile con l’esigenza di garantire ragionevolezza al sistema delle tutele nel caso di licenziamento, già richiamata dalla Corte Costituzionale nelle pronunce adottate su questioni attinenti alla L. n. 92/2012 e al D. Lgs. n. 23 del 2015.
La Corte conclude affermando il seguente principio di diritto: «Nel sistema delineato dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, il licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110, comma 2, cod. civ., è nullo e le sue conseguenze sono disciplinate, secondo un regime sanzionatorio speciale, dal comma 7, che a sua volta rinvia al comma 4, del medesimo articolo 18, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro».