Corte Costituzionale sentenza n. 183 depositata il 22 luglio 2022
Risulta ormai indifferibile una riforma della disciplina relativa all’indennità risarcitoria prevista dal c.d. Jobs Act per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese. Un ulteriore protrarsi dell’inerzia legislativa in materia “non sarebbe tollerabile” e indurrebbe la Corte costituzionale, laddove nuovamente investita, a provvedere direttamente, nonostante le difficoltà rappresentate in sentenza.
E’ il monito che la Consulta ha rivolto al legislatore nella sentenza n. 183 depositata il 22 luglio 2022, pur dichiarando inammissibili le censure del Tribunale di Roma sull’indennità prevista dal Jobs Act per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese.
Per la Corte, infatti, un’indennità come quella determinata dal D. Lgs 23/2015 entro l’esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità “vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza, che consideri tutti i criteri rilevanti enucleati dalle pronunce di questa Corte e concorra a configurare il licenziamento come extrema ratio”.
Senza contare che il limitato scarto tra il minimo e il massimo individuati “conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro, né la gravità del licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per una liquidazione del danno che si approssimi alle particolarità delle vicende concrete”.
Di fatto, il limite uniforme e invalicabile di sei mensilità, che si applica a datori di lavoro imprenditori e non, opera in riferimento ad attività tra loro eterogenee, accomunate dal dato del numero dei dipendenti occupati, dato, questo, “sprovvisto di per sé di una significativa valenza“.
In conclusione, prosegue la Corte Costituzionale, un sistema siffatto non attua quell’equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un’efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi.
Si deve riconoscere, pertanto, “l’effettiva sussistenza del vulnus denunciato dal rimettente e si deve affermare la necessità che l’ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti”.
Al vulnus riscontrato, tuttavia, come si legge in sentenza, non può porre rimedio la Corte ma spetta al legislatore intervenire.