“Non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento del danno per mancata costituzione del rapporto di lavoro le somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure sostitutive al reddito in favore del lavoratore”.
Così la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 12102 dell’8 maggio 2023.
Il caso affrontato con la pronuncia in esame trae origine dal ricorso promosso da una dipendete nei confronti del proprio datore volto ad accertare lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato, regolarizzato da quest’ultimo solo per una parte dell’effettivo periodo in cui ha usufruito della prestazione.
La Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, a seguito di CTU e di rivalutazione del quadro probatorio (testimoniale e documentale) raccolto, ha ritenuto dimostrato lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato nei periodi continuativi intercorsi a) fra maggio 2000 e settembre 2003, regolarizzato con contratto a tempo indeterminato solo nel luglio 2003 e seguito da dimissioni e b) fra maggio 2005 e febbraio 2007, regolarizzato con un susseguirsi di contratti a termine. Pertanto, ha condannato la società datrice al pagamento di un cospicuo importo a titolo di differenze retributive in favore della lavoratrice in conseguenza della mancata regolarizzazione fiscale e contributiva del rapporto di lavoro.
La società impugnava la sentenza, lamentando il vizio di motivazione avendo il giudice di appello ignorato il godimento dell’indennità di disoccupazione da parte della lavoratrice dopo la conclusione del primo e del secondo contratto a tempo determinato.
La Corte di cassazione, investita della questione, richiamando il proprio orientamento (ex multis Cass. 9724/2017; n. 7794/2017 e n. 22428/2021) ha ritenuto la doglianza infondata ed ha ribadito che le somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure sostitutive al reddito in favore del lavoratore, non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento del danno derivante dalla mancata costituzione del rapporto di lavoro e che l’eventuale non debenza delle stesse “dà luogo ad un indebito previdenziale ripetibile, nei limiti di legge, dall’istituto previdenziale”.
Gli Ermellini, così come la Corte d’Appello, hanno dunque ritenuto che la percezione da parte della lavoratrice dei sussidi del reddito erogati dall’INPS, nella complessiva valutazione del quadro probatorio, non fosse di per sé una circostanza sufficiente ad escludere lo svolgimento dell’attività lavorativa subordinata, non regolarizzata dai punti di vista fiscale e contributivo nei periodi considerati.
Pertanto, prosegue la Corte, “spetta, nel caso, all’istituto previdenziale il diritto alla ripetizione delle prestazioni sociali indebitamente erogate, anche in dipendenza della mancata regolarizzazione del rapporto di lavoro da parte del datore, che si è avvalso di prestazioni lavorative non registrate in danno del lavoratore e dell’istituto previdenziale stesso”.