Licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito deve essere l’unica effettiva ragione di recesso
Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, n. 31395
Nella sentenza in esame la Corte ribadisce il proprio orientamento secondo cui in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, L. n. 300 del 1970 noverato dalla L. n. 92 del 2012, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento.
Nel caso di specie il licenziamento è stato ritenuto nullo perché ritorsivo sul rilievo che l’unico motivo che aveva giustificato il licenziamento, era stato il rilascio di dichiarazioni da parte del lavoratore sulla stampa ritenute gravissime, lesive e foriere di danni per l’azienda, motivo tuttavia che si era rilevato insussistente.
Secondo i giudici, tanto di merito quanto della Suprema Corte, la critica manifestata dal lavoratore all’indirizzo del datore di lavoro può, dunque, trasformarsi da esercizio lecito di un diritto in una condotta astrattamente idonea a configurare un illecito disciplinare, laddove superi i limiti posti a presidio della dignità della persona umana, così come predeterminati dal diritto vivente, ossia i requisiti della corrispondenza a verità dei fatti narrati (c.d. continenza sostanziale) e delle modalità espressive che possano dirsi rispettose di canoni, generalmente condivisi, di correttezza, misura e civile rispetto della dignità altrui (c.d. continenza formale), anche considerando che le modalità espressive possono assumere una valenza diversa a seconda che la manifestazione del pensiero sia contenuta in un articolo di stampa o in un servizio televisivo, oppure in un’opera letteraria o cinematografica, o in un pezzo di satira, ovvero se la critica sia esercitata nell’ambito di un rapporto contrattuale di collaborazione e fiducia che lega lavoratore e datore di lavoro.
Il giudice di merito aveva così accertato la ricorrenza dei requisiti di pertinenza e continenza ed ha correttamente, secondo la Cassazione, interpretato, in diritto, detti criteri.
Da qui l’illegittimità ed insussistenza della motivazione posta a base del licenziamento e la conseguente nullità dello stesso.