Pubblicato sul Sole24Ore – NT Lavoro – il 10/02/2023
Nell’ambito del licenziamento collettivo, il datore può circoscrivere a una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare a patto di indicare nella comunicazione di apertura della procedura sia le ragioni che limitano i licenziamenti ai dipendenti dell’unità in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad altre unità produttive.
Così la Corte di cassazione, con la sentenza 3437/2023 del 3 febbraio.
Nel caso specifico, uno dei lavoratori licenziati al termine della procedura collettiva ha impugnato il provvedimento, contestando la decisione di limitare la platea dei dipendenti da licenziare a talune sedi. La Corte d’appello, in conformità con la decisione del Tribunale, ha accertato l’illegittimità del licenziamento, reputando immotivata e irragionevole l’individuazione dei dipendenti operata dal datore di lavoro, a fronte di un progetto di ristrutturazione che ricomprendeva tutto il complesso aziendale e in assenza di prova sull’infungibilità del dipendente.
La società ha presentato ricorso in Cassazione, ritenendo che la normativa escludesse l’esigibilità della comparazione tra i dipendenti quando questa risulti oggettivamente incompatibile con le esigenze aziendali per ragioni geografiche, trattandosi di una società con sedi operative distanti centinaia di chilometri l’una dall’altra. La società ha sostenuto altresì che dovesse essere privilegiato, tra i criteri di scelta legali, quello delle esigenze tecnico-produttive, stante la necessità di rinnovamento delle strategie aziendali al fine di salvaguardare la competitività, trattandosi di una riduzione mirata a specifici profili tecnici e non a personale fungibile.
La Suprema corte ha rigettato il ricorso. In via preliminare, ferma la regola generale stabilita dall’articolo 5 della legge 223/1991, in virtù della quale l’individuazione dei lavoratori da licenziare va effettuata nell’ambito del «complesso aziendale», per i giudici è possibile limitare la platea agli addetti a un determinato reparto o sede territoriale ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, a condizione che nella comunicazione di apertura della procedura collettiva siano indicate sia le ragioni che limitano i licenziamenti ai dipendenti dell’unità in questione, sia le ragioni per cui il datore ritenga di non potervi ovviare con il trasferimento ad unità produttive vicine. Tale informativa, infatti, è richiesta al fine di consentire ai sindacati di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti.
Ove, al contrario, la comunicazione preveda un generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza specificazione delle unità produttive da sopprimere, come nel caso al vaglio della Suprema corte, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali (Cassazione 22178/2018).
Sotto diverso profilo, i giudici ricordano che la delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di licenziamento deve essere giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale, adeguatamente esposte nella comunicazione di apertura della procedura, onde permettere alle associazioni sindacali di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere.
La Cassazione, dunque, conferma il principio per cui, in siffatta ipotesi, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, non assume rilievo, di per sé, la circostanza che il mantenimento in servizio del lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con relativo aggravio di costi per l’azienda, in quanto la regola legale risponde all’esigenza di minimizzare l’impatto sociale della riorganizzazione, non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore in esubero preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro (Cassazione 17177/2013; 32387/2019).