Corte di cassazione ordinanza 4 gennaio 2022 n. 36
Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso si sostanzia nella valutazione di gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).
Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 4 gennaio 2022 n. 36.
Nel caso di specie un dipendente era stato licenziato per giusta causa per essersi allontanato temporaneamente dal posto di lavoro senza autorizzazione e senza fornire giustificazioni e, comunque, per la recidiva in mancanze che avevano dato luogo nell’anno precedente a due sospensioni dal lavoro e dalla retribuzione, come previsto dal CCNL applicabile.
La Corte di merito, così come il Tribunale di primo grado, aveva rigettato il ricorso promosso dal lavoratore confermando la legittimità del licenziamento sul rilevo che, da un lato, risultava integrata la previsione del CCNL che consente di irrogare il licenziamento in caso di recidiva in qualsiasi mancanza che abbia dato luogo a due sospensioni. Dall’altro la Corte di Appello ha “qualificato come grave la condotta contestata al lavoratore per essersi egli allontanato dalla postazione di lavoro per circa un’ora, senza autorizzazione e quindi arbitrariamente, lasciando il collega in difficoltà per il compimento delle operazioni che richiedevano la presenza di due persone e provocando in tal modo un ritardo nell’avvio della linea” di produzione “e un calo di produzione rispetto al quantitativo previsto”.
Con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e conferma la decisione della Corte di merito.
La Suprema Corte, infatti, ricorda come “la giusta causa di licenziamento, quale “fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama”.
L’ordinanza ribadisce inoltre che “il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso si sostanzia nella valutazione di gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso” e “tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.), (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007)”.
La sentenza impugnata, conclude la Suprema Corte, si è attenuta ai principi sopra richiamati ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione, sia riguardo all’allontanamento dal posto di lavoro e sia in ragione della recidiva contestata.