Il termine di decadenza dall’impugnazione giudiziale del licenziamento decorre dalla data di invio dell’impugnazione stragiudiziale e non dalla data di ricezione da parte del datore di lavoro
Cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 17197 del 17 agosto 2020
Con la sentenza n. 17197 del 17 agosto 2020, la Corte di Cassazione conferma il proprio orientamento sul dies a quo del termine di decadenza per l’impugnazione giudiziale del licenziamento.
Per la Suprema Corte, il termine di decadenza ex art. 6, comma 2, Legge n. 604/1966«decorre dalla trasmissione dell’atto scritto di impugnazione del licenziamento imposto dal primo comma dell’articolo citato e non dal perfezionamento dell’impugnazione stessa per effetto della sua ricezione da parte del datore di lavoro né dallo spirare del termine di sessanta giorni».
La giurisprudenza di legittimità, infatti, partendo dalla ratio della modifica operata dall’art. 32 comma 1, legge n. 183 del 2010 ai primi due commi dell’art. 6 legge n. 604 del 1966 («ispirata all’esigenza di garantire la speditezza dei processi») evidenzia come«l’impugnazione del licenziamento costituisce una fattispecie a formazione progressiva, soggetta a due distinti e successivi termini decadenziali, rispetto alla quale risulta indifferente il momento perfezionativo dell’atto, perché la norma non prevede la perdita di efficacia di un’impugnazione già perfezionatasi, dunque pervenuta al destinatario, ma impone un doppio termine di decadenza affinchè l’impugnazione stessa sia in sé efficace».
Quanto precede trova riscontro nel tenore letterale della norma in quanto la locuzione “L’impugnazione è inefficace se” secondo la Suprema Corte sta ad indicare che «indipendentemente dal suo perfezionarsi (e quindi dai tempi in cui lo stesso si realizzi con la ricezione dell’atto da parte del destinatario), il lavoratore deve attivarsi, nel termine indicato, per promuovere il giudizio». Il legislatore ha voluto, così, subordinare l’efficacia dell’impugnazione «al rispetto di un doppio termine di decadenza, interamente rimesso al controllo dello stesso impugnante, il quale, dopo avere assolto alla prima delle incombenze di cui è onerato, è assoggettato a quella ulteriore di attivare la fase giudiziaria entro il termine prefissato».
Tale conclusione risulta altresì coerente con la finalità acceleratoria della ratio ispiratrice dell’intervento di riforma.
Né è dato rivenire, prosegue la sentenza in esame, «alla luce della interpretazione accolta un vulnus al diritto di difesa del lavoratore il quale, in tal modo, viene posto immediatamente in grado di conoscere quale sia il dies a quo del termine per il deposito del ricorso giudiziale e non è quindi esposto alla incertezza connessa alla necessità di verifica successiva mediante la prova della data di ricezione dell’atto».
Tale ricostruzione, prosegue la Suprema Corte, non risulta inficiata dalle argomentazioni sviluppate in ricorso e relative alla natura ricettizia dell’impugnativa stragiudiziale di licenziamento e al principio affermato da Cass. S.U. n. 8830 del 2010, in tema di tempestività della impugnazione stragiudiziale del licenziamento effettuata a mezzo raccomandata inviata nel rispetto dei sessanta giorni a prescindere dalla data di recezione in epoca successiva.
Anzi, secondo gli Ermellini tali argomentazioni confermano quanto precede. Se, infatti, l’impugnazione del licenziamento «è efficace per il lavoratore dal momento della spedizione, è sistematicamente coerente con detta ricostruzione dogmatica una disciplina normativa che dalla spedizione, non dalla ricezione, faccia decorrere il secondo termine imposto a pena di decadenza (Cass. n. 7659 del 2019)».