La Corte di Cassazione supera il proprio precedente orientamento in merito al computo dei lavoratori da considerare nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo
Corte di Cassazione, ordinanza n. 15401 del 20 luglio 2020
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, quando intervenuta a seguito di mancata accettazione del trasferimento da parte del dipendente, va inclusa nel computo dei lavoratori licenziati nell’ambito di una procedura di riduzione del personale.
Questo il nuovo orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 15401 depositata il 20 luglio 2020.
Il caso trae origine dal ricorso depositato da un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo, che contestava la legittimità del licenziamento anche in virtù della mancata attivazione della procedura di licenziamento collettivo, nonostante il numero minimo di licenziamenti fosse stato raggiunto in virtù delle risoluzioni consensuali concordate a seguito di rifiuto del trasferimento.
Come noto, l’art. 24 della L. 223/1991 impone la procedura di licenziamento collettivo alle imprese con più di quindici dipendenti che “in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni”.
La Corte di Cassazione, con un consolidato orientamento, ha sempre interpretato l’art. 24 citato nel senso che nel numero minimo di cinque licenziamenti «non potessero includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’iniziativa del datore di lavoro» (Cass. n. 13714/2001, Cass. n. 1334/2007).
Questa posizione della Corte si fonda su un’interpretazione del termine “licenziamento” in senso tecnico, che esclude la possibilità di parificare ad esso qualunque altro tipo di cessazione del rapporto di lavoro.
Tuttavia, riprendendo le conclusioni offerte dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia Ue 11/11/2015 nella causa C-422/14), con l’ordinanza in commento la Suprema Corte muta il proprio indirizzo.
Secondo gli Ermellini, infatti, nella nozione di licenziamento collettivo non rientra solo la fattispecie del recesso datoriale inteso in senso tecnico, ma anche le altre ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro che, pur in assenza di licenziamento, siano riconducibili ad una riorganizzazione aziendale che abbia modificato le condizioni contrattuali del rapporto di lavoro cessato.
In particolare, nel caso in esame, la Corte ha statuito che non può escludersi «la rilevanza, ai fini del computo dei lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento collettivo, di alcune risoluzioni consensuali derivanti dalla mancata accettazione di un trasferimento».