La Corte di Cassazione si pronuncia sui principi in materia di assorbibilità del c.d. superminimo
Corte di Cassazione, sez. lav., Ordinanza 5 giugno 2020, n. 10779
Con l’ordinanza n. 10779 del 5 giugno 2020 la Corte di Cassazione conferma il proprio orientamento secondo cui il cosiddetto superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore «è soggetto al principio dell’assorbimento nei successivi aumenti retributivi derivanti dal rinnovo del contratto collettivo e/o dalla variazione del livello di inquadramento, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto».
La Corte ricorda che «rimane a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento (Cass. n. 20617 del 2018; Cass. n. 19750 del 2008 Cass. n 12788 del 2004; Cass. n. 8498 del 1999)».
Secondo i Giudici, inoltre, anche «il compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e che sia quindi sorretto da un autonomo titolo» si sottrae alla regola dell’assorbimento.
E così, continua la Corte di Cassazione, al fine di ricostruire la volontà negoziale con riferimento alla non assorbibilità del superminimo, deve essere valutato «il comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del patto relativo tanto che questa Corte ha confermato, ad esempio, la decisione di merito che aveva desunto la volontà delle parti di considerare il superminímo non assorbibile dal fatto che esso era rimasto inalterato nei tempo, nonostante gli incrementi retributivi intervenuti nel corso del rapporto di lavoro in occasione dei rinnovi contrattuali (v. Cass. n. 14689 del 2012, che richiama Cass. n. 1899 del 1994».
Sulla base di quanto precede, la Suprema Corte conferma la sentenza della Corte territoriale in quanto «pienamente consapevole dei principi di diritto innanzi espressi».
La Corte d’Appello, infatti, aveva ricostruitola volontà negoziale delle parti, manifestata anche mediante i comportamenti reiterati del datore di lavoro successivi alla pattuizione dell’emolumento «ritenuti concludenti nel senso dell’esclusione dell’assorbibilità del superminimo».
In particolare, la Corte d’Appello ha considerato “la protrazione nel tempo della condotta aziendale di sottrazione del superminimo agli aumenti tabellari fissati dal contratto collettivo» nonché «il mancato assorbimento del compenso in occasione della progressione professionale con cambio di livello e anche di retribuzione» dei due dipendenti interessati, come comportamenti concludenti nel senso dell’esclusione dell’assorbibilità del superminimo.