La Corte Costituzionale conferma la legittimità costituzionale dell’articolo 25, comma 3, D. Lgs. 148/2015 che regola gli effetti della tardiva presentazione della domanda di CIGS
Corte Costituzionale, sentenza del 15 maggio 2020 n. 90
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 15 maggio 2020 n. 90, ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 25, comma 3, del D. Lgs. 148/2015 in riferimento all’art. 3 Cost., con riguardo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità.
Come noto, l’articolo 25, comma 1, del D. Lgs. 148/2015 prevede che «la domanda di concessione di trattamento straordinario di integrazione salariale è presentata entro sette giorni dalla data di conclusione della procedura di consultazione sindacale o dalla data di stipula dell’accordo collettivo aziendale relativo al ricorso all’intervento».
Il successivo comma 3, oggetto dell’esame della Consulta, prevede che «in caso di presentazione tardiva della domanda, il trattamento decorre dal trentesimo giorno successivo alla presentazione della domanda medesima», con l’ulteriore conseguenza, prevista dal 4° comma, che «qualora dalla omessa o tardiva presentazione della domanda derivi a danno dei lavoratori la perdita parziale o totale del diritto all’integrazione salariale, l’impresa è tenuta a corrispondere ai lavoratori stessi una somma di importo equivalente all’integrazione salariale non percepita».
Nel caso che ha portato alla pronuncia della Corte Costituzionale, a fronte di un contratto di solidarietà stipulato il 1° ottobre 2015, la società presentava domanda di CIGS il 30 novembre 2015, quindi ben dopo il termine di sette giorni dall’accordo che scadeva l’8 ottobre 2015.
A fronte di tale ritardo, il ministero del Lavoro aveva autorizzato la CIGS soltanto a partire dal 30 dicembre 2015, in applicazione dell’art. 25, terzo comma, D. Lgs. citato.
Avverso il provvedimento amministrativo la società ricorreva al Tar sostenendo, tra l’altro, che il citato comma 3 violasse l’articolo 3 della Costituzione «in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto comporterebbe una “sanzione” ingiustificatamente onerosa per l’impresa che presenti la domanda oltre il termine di sette giorni stabilito dal comma 1 del medesimo art. 25 del d.lgs. n. 148 del 2015. Inoltre, la disposizione sarebbe lesiva dello stesso art. 3 Cost., ma in riferimento al principio di uguaglianza, in quanto opererebbe una discriminazione nei confronti delle imprese (quale è la ricorrente nel giudizio principale) che subentrano in appalti e che devono quindi rispettare la cosiddetta clausola sociale».
Tali censure sono state ritenute infondate dalla Corte Costituzionale.
La Consulta, in via preliminare, rileva l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nel disciplinare la materia degli ammortizzatori sociali e, nello specifico, nel conformare i correlati procedimenti amministrativi «con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute”. Limite che, secondo la Corte Costituzionale «non può ritenersi superato nella fattispecie in esame, anche alla luce della ricognizione del complessivo assetto della disciplina in materia e della sua evoluzione».
Ed infatti, si legge nella sentenza, il procedimento ex art. 25 del D. Lgs. 148/2015 è finalizzato a evitare che si determinino situazioni di incertezza per i lavoratori, per le organizzazioni sindacali interessate e per l’impresa stessa e «In tal senso si richiede all’impresa la massima tempestività nella presentazione della domanda, obbligo cui il datore di lavoro viene chiamato ora a rispondere in termini più rigorosi, per evitare che la sua inerzia incida negativamente sull’attuazione degli interessi coinvolti”.
E così, continua la Corte Costituzionale, di nessun merito appaiono le pretese di irragionevolezza della disposizione con riferimento all’applicazione delle sanzioni anche per un solo giorno di ritardo, come lamentato dalla Società, posto che «ogni volta che un termine è fissato, il suo superamento, anche marginale, produce comunque gli effetti lamentati anche ove sia stabilito un più ampio margine temporale rispetto a quello di sette giorni previsto dal comma 1 del medesimo art. 25 del d.lgs. n. 148 del 2015”.
Parimenti ininfluente, si legge nella sentenza della Corte Costituzionale, è il riferimento da parte del rimettente alla «angustia» del termine di sette giorni stabilito dal citato terzo comma. Il termine, sebbene limitato, secondo i Giudici «non è, difatti, tale da renderne impossibile, arduo, o comunque eccessivamente oneroso il rispetto. Ciò tanto più ove si consideri che la domanda di concessione del trattamento straordinario di integrazione salariale deve essere inoltrata in via telematica attraverso la procedura CIGS on-line».
Sulla scorta delle argomentazioni innanzi svolte, la Corte Costituzionale ha pertanto dichiarato «la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 148 del 2015» in riferimento «all’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità».